Vecchi Peccati
‘Un boccone per un vecchio Albigero, signore?’.
Inizialmente Danos Tangalt a malapena fece caso alle parole dell’uomo, distratto com’era. A causa delle spaventose tormente di neve del giorno precedente sarebbe arrivato in ritardo per la riunione del conclave, anche se di pochi minuti. Il Prevosto Tangalt odiava essere in ritardo.
‘Un boccone per un vecchio Albigero?’.
Alla fine volse lo sguardo verso la figura in fondo al vicolo. Chiunque fosse, era avvolto in un mantello nero ed era mezzo nascosto dalla neve, che cadeva incessante. Tangalt si fermò e posò la mano sul pugnale ingioiellato che portava sul fianco. I tagliagole non erano diffusi nei piccoli luoghi di frontiera come Guglia del Picchiere, ma neanche così rari, tuttavia non si mise troppo in allarme. Dieci anni nella Gilda Libera fortificano lo spirito.
‘Non ho oro né una goccia di aqua vitae’, disse freddamente. ‘Se avete intenzione di derubarmi, sappiate che non sarò una preda facile. In caso contrario, fatevi da parte’.
Non giunse risposta, solo un rumore metallico. La pazienza di Tangalt, da sempre scarsa, si esaurì. Quel vagabondo era davvero indisponente. Era gobbo e logoro, e dai polsi ossuti non gli pendevano forse manette? Attraverso la bufera era difficile dirlo. Tuttavia, oltre al gelo dell’inverno verdiano, qualcos’altro fece rabbrividire il cuore di Tangalt.
‘Fatevi da parte’, disse a voce più alta. ‘Lasciatemi il passo, signore, o vi spedirò in prigione’.
Il vento ululava. La figura emise un sospiro roco.
‘Palude della Morte’, disse. ‘Prima che la battaglia finisse. Voleva solo un boccone per placare la fame’.
La bocca di Tangalt si fece secca.
‘Cosa hai detto?’, sussurrò.
Poi, in preda al panico, aggredì lo sconosciuto puntando il lungo pugnale, senza capire a cosa stesse mirando. Nonostante il delirio, fu certo di aver colpito il volto del bersaglio, impaludato o meno. Invece, non centrò nulla e l’impeto improvviso lo fece cadere in ginocchio.
Si voltò attorno, il volto rosso e gli occhi sbarrati, ma il vicolo pareva vuoto. Il vagabondo era sparito. In mezzo alla neve non c’era altro che un dischetto di metallo. Una Moneta Malleus. Il simbolo dei Portatori dell’Alba. Il cuore di Tangalt si riempì di inquietudine e iniziò a martellargli in petto quando vide quel medaglione. Un ricordo da tempo sepolto nella sua coscienza portò con sé un’ondata di vergogna e disgusto. Chiuse gli occhi e lo ricacciò in fondo all’animo, dove si era incancrenito per vent’anni.
Quando riaprì gli occhi, anche la moneta era svanita.

L’angoscia braccò Tangalt tutto il giorno come un’ombra. Presenziò agli incontri, disse ciò che doveva, ogni parola uscì dalle sue labbra come fosse cenere. Sì, le decime venivano riscosse per tempo. Esatto, gli ultimi bollettini da Acque Grigie indicavano che le spedizioni di polvefumo sarebbero giunte entro la Veglia Santa, a Sigmar piacendo. Era vagamente consapevole degli strani sguardi che suscitava negli altri, a giudicare dalla preoccupazione dipinta sui loro volti. Normalmente sarebbe stato lui a condurre tali riunioni, a chiedere a gran voce sempre più dai vertici della roccaforte. Normalmente avrebbe avuto il controllo della situazione.
Quel giorno, però, Tangalt riusciva a malapena a parlare.
La Palude della Morte. L’ultima, terribile resistenza del 193º Hammerhal Ghyra. L’orrore di quel carnaio non lo aveva mai del tutto abbandonato. Né i ricordi di ciò che aveva dovuto fare per sopravvivere. Che l’incontro con lo strano vagabondo fosse solo un’allucinazione di una mente stremata? Le sue parole, tuttavia, erano parse tanto reali…
Si scusò, adducendo malessere, e lasciò la congregazione in anticipo. La neve si era fatta ancora più fitta, in alcuni punti arrivava quasi alle ginocchia. Stalattiti di ghiaccio lunghe quanto pugnali pendevano dai portici, e il vento faceva sbattere le finestre e tremare le tegole. Qua e là camminavano sagome imbacuccate alla disperata ricerca del calore della propria casa. Chinò la testa per opporsi al vento. Aveva bisogno di riposo. Ecco tutto.
La sua era la magione più grande di tutto il baluardo, ed era situata in cima a una collina che sovrastava la squallida distesa di Guglia del Picchiere. Finalmente arrivò all’uscio, lo aprì e insieme a lui entrò una folata gelida. Grugnì e spinse la porta per chiuderla, poi si ritrovò nel buio.
Tangalt poggiò la testa contro il battente e tirò un profondo respiro.
Dal secondo piano giunse un rumore metallico, seguito da una serie di passi pesanti. Tangalt si immobilizzò, il cuore gli martellava in petto. Gli occhi si girarono di scatto verso le scale.
Ladri.
La sua antica pistola da dragone era ancora appesa sopra il caminetto. La afferrò rapidamente, si mise a frugare in uno scrigno alla ricerca di polvere e proiettili, e caricò l’arma. Stringere in mano la vecchia compagna gli diede un impeto di coraggio, così si diresse verso le scale. Prima di andare prese una candela dal tavolo da pranzo, l’accese con un piccolo acciarino di pirite che teneva sempre in tasca.
‘Statemi bene a sentire, chiunque voi siate’, gridò mentre saliva un gradino alla volta, puntando la pistola tra le colonnine del corrimano. ‘Andatevene subito, o vi farò impiccare’.
Raggiunse il pianerottolo, e la candela tinse il tetro corridoio di luce arancione. La porta della sua stanza era aperta, la soglia costellata di frammenti di vetro. Tangalt avanzò lentamente, tenendo la schiena contro il muro. Arrivato al lume della porta si fermò un attimo per raccogliere le forze, poi balzò nella camera e la perlustrò con lo sguardo a caccia di movimenti.
Era vuota. La finestra all’altra estremità era aperta, gli infissi frantumati sbattevano contro la parete a ogni sferzata del vento, consentendo a folate di ghiaccio di imbiancare il pavimento. Candele rotolavano avanti e indietro sulle assi coperte di neve, picchiettando l’una contro l’altra.
Tangalt si appropinquò alla finestra e scrutò nella tormenta. Anche se ci fosse stato qualcosa là fuori, non sarebbe riuscito a vederla. Esercitando un po’ di forza riuscì a chiudere le ante e a bloccarle. Malgrado la bufera stesse ancora infuriando, casa sua diventò silenziosa. Anche troppo: gli ricordava l’improvvisa quiete degli spettatori che precede il colpo di grazia del boia.
‘Un boccone per un vecchio Albigero?’.
Tangalt si voltò e sparò senza pensarci troppo. La stanza fu brevemente illuminata dal lampo della polvere. La figura impaludata si accasciò contro lo stipite della porta e si adagiò a terra. Giacque lì, rantolando.

La pistola scivolò dalle mani tremanti di Tangalt. Per un attimo non riuscì a fare altro che stare lì, nel tentativo di prendere fiato. Costringendosi a muovere le gambe, si avvicinò all’intruso ferito. Sangue e acqua piovana bagnavano il pavimento. Si abbassò per rimuovere il cappuccio dal capo della creatura e, appena ne rivelò il volto, una scheggia di ghiaccio gli perforò il cuore.
‘Ignan?’.
Era il suo vecchio amico. Peccato che no, non poteva esserlo. Ignan era morto in un buco fangoso a Palude della Morte, la fetida prigione che i due avevano condiviso per otto giorni e otto notti con null’altro che una mezza scatoletta di razioni e qualche goccia di acqua sporca. Questo finché il rombo costante dei fucili dei duardin maledetti non li aveva condotti alla pazzia e avevano iniziato a combattere come dannati per le ultime briciole di cibo rancido.
‘Un boccone?’, farfugliò la creatura simile a Ignan, e le sue labbra si ritirarono, rivelando denti neri e scheggiati.
Tangalt non gli concesse nulla, ora come allora. No, gli aveva squarciato la gola e lo aveva guardato dissanguarsi mentre divorava gli ultimi pezzetti di rinocebue sotto sale.
Gli occhi spenti di Ignan rotearono nelle orbite, fissandolo con sguardo sofferente.
‘Ho tanta fame, Danos. Fa così freddo, qui nelle tenebre’.
Il panico pervase Tangalt. Tentò di fuggire, ma il redivivo si alzò con rapidità innaturale e gli sbarrò il passo. La sua sagoma mutava e sfarfallava, mentre le catene attaccate agli arti allungati tintinnavano. Lo aggredì con una mano artigliata, scavandogli un solco cremisi nell’avambraccio, e il Prevosto barcollò. La ferita doleva come se l’avesse immersa in un secchio di acqua gelata, il freddo si impadronì del suo corpo e gli attanagliò il cuore.
Ansimando si strinse il petto, dopodiché cercò l’unica via possibile verso la libertà. Spalancò la finestra della camera da letto, arrampicandosi sul davanzale ed esitando solo un attimo prima di vedere la creatura avanzare con occhi simili a smeraldi e le grinfie pronte ad afferrargli la gola. Non aveva più il viso del suo amico, ma una maschera scheletrica, mezza nascosta da un brandello di tela nera.
Tangalt balzò nella notte gelida, roteando avvinghiato in uno spaventoso abbraccio con l’orrore spettrale che era giunto a reclamarlo.
‘Perdonami!’, urlò mentre le dita del fantasma gli si chiudevano attorno al collo.
Le sofferenze di Danos Tangalt terminarono quando colpì le balaustre di ferro sottostanti, ma per la sua anima martoriata il dolore sarebbe stato infinito.
Quando una pattuglia della Gilda Libera si imbatté nel cadavere del Prevosto il mattino successivo, non c’era traccia di chi o cosa lo avesse spinto. Tutto ciò che rimaneva era una vecchia e usurata moneta dei Portatori dell’Alba chiusa nel suo palmo inerte.












